Parole facili Le parole facili sono le parole che si usano. Ne propongo alcune, dissimili da quelle italiane. Ordinare, nel senso di richiedere ciò che si intende consumare, si traduce comandâ. Il verbo avansâ ha almeno tre significati diversi: avanzare (se m’avànsa do ténpo: se mi avanza del tempo), affacciarsi, sporgersi: (avànsite dò-u barcón: affacciati alla finestra), evitare (coscì avànso d’anâghe: così evito di andarci). È genovese l’espressione: dàgghe ’na bòtta (fa’ in fretta). Il cassetto di un mobile si chiama càntia (evitiamo di dire cascétto!) e o cantiâ è il canterano, altrimenti detto comò. Ma al femminile ’na cantiâ de röba significa una cassettata di roba. I póffi sono i debiti; acatâ in crénsa vuol dire comprare a debito, vénde a respîo si dice di chi vende a credito, mentre acatâ a bón pàtto significa pagare un prezzo conveniente. E chi non ricorda l’espressione fâ o sapìn? Intraducibile, è la forma che assume la bocca dei bambini poco prima di scoppiare a piangere: come fosse una piccola sàppa (zappa). In genovese angóscia non significa ansia, affanno ma nausea e, figuratamente, avversione, ripugnanza. Però un tipo angosciôzo è uno noioso, uno che infastidisce. Noi chiamiamo madonétta l’edicola votiva, e tante ce ne sono nei caróggi. Concludo con la parola ciæto che, ricordiamolo, ha due significati: quello di pettegolezzo, ma anche quello di guaio, impiccio: o l’é ’n bèllo ciæto (è un bel guaio). A-o ristorànte. O galànte: «Mi e ti sémmo a mæxima cösa: in còrpo sôlo, ’n’ànima sôla...» A galànte: «Sci, ma ti comàndi pe doî, vêa?» Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |