Troncamento Una caratteristica del genovese, come di altre parlate italiane, è il troncamento. Questo fenomeno si ha tipicamente nei verbi della prima coniugazione, parlâ (parlare), della terza, métte (mettere), e della quarta, sentî (sentire), mentre la seconda ha esito differente, taxéi (tacere). La sempre maggiore influenza dell’italiano riduce il troncamento. Freno, parola antica, si dice frén, ma treno, che diventa popolare nell’Ottocento, resta trêno, sebbene Steva De Franchi nel Settecento scriva trén. Nel Seicento il Cavalli scrive tâ (tale, pl. tæ), particolâ (particolare), e in altri autori troviamo pure caporâ (caporale), generâ (generale), ecc., parole che oggi non si troncano più. Anche ofiçiâ (ufficiale) segue la stessa sorte, per questo la forma tronca è stata mantenuta, come segno di genuinità, nella grafîa ofiçiâ. Oggi prinçipâ è il principale, il datore di lavoro, perché l’aggettivo è ormai solo prinçipâle. È interessante notare che nel 1851 Casaccia registra cardinâ (cardinale), ma nel 1876 scrive cardinâle, segno che già allora si stava abbandonando il troncamento. Il quartiere del Comune di Sàn Pê d’Ænn-a continua a chiamarsi Comùn, ma ormai quasi tutti dicono Comûne, senza troncamento. Attenzione però! Quéllo e bèllo in genovese non si troncano mai. Diremo così quéllo bèllo lìbbro (quel bel libro); parimenti sappiamo che la commedia di Govi “Quéllo bonànima” ha il titolo in genovese proprio per l’assenza del troncamento. Çénto poæra de beu tùtti azovæ / no dogeràn ra léngoa a ’n forestê /
chi dìgghe in bón zenéize, Bertomê, / amô, mæ cheu, biòu, paròlle tæ. Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |