Parole in -gion Spessissimo, anche se non sempre e non solo, la terminazione italiana -glione in genovese diventa -gion: bottigion (bottiglione), inbrogion (imbroglione), medagion (medaglione), padigion (padiglione), ponzigion (pungiglione), ecc. Per questo ghigion (ghiozzo, un pesce) è stato italianizzato nel cognome Ghiglione. Ma abbiamo anche parole autonome. Uno straggion è uno sprecone, un dissipatore, da noi detto anche stralaton, un personaggio che va in coppia con un spedagion (spendaccione). Il gambo del fungo è detto câsigion, forse perché o caso dell’erbo è il ceppo. Stâ in oegion è stare con le orecchie aperte, intentissimo a sentire; in ginocchio si traduce in zenogion e, per restare nelle locuzioni avverbiali, mangiâ de strangogion (o de strangoscion) vuol dire mangiare in fretta quasi da rimanerne strangolato; ricordo qui il prebogion, misto d’erbe di cui ognuno ha una propria ricetta personale. Curiosamente, la taglia sui delinquenti è detta tagion. Il canovaccio, quel telo da cucina grosso e ruvido, si traduce dogion. Uno strofogion è un pasticcione, un arruffone, mentre un nottivago, colui che è solito andar in giro la notte, è detto deslögion, Infine un strigion de cuxinn-a è, indifferentemente, lo sguattero o la sguattera; Casaccia segnala che, anticamente, gli strigioin «erano quei cenci che le donne si mettevano ai fianchi sotto la gonnella onde farli comparir più tondi e più grossi». Pende, pendin, pendalòcco, pendagion: son paròlle zeneixi: deuvile! Franco Bampi Le regole di lettura sono reperibili nel Gazzettino di aprile 2006 e all’indirizzo Internet http://www.francobampi.it/zena/mi_chi/060429gs.htm. |