Acqua e fango O sciùmme o va de sórva quando trabocca e tracima, insomma quando si prepara a far danni con un’inondaçión (inondazione), come registra il Casaccia che non riporta aluvión (alluvione). L’acqua che ha invaso le strade lascia tanta bràtta (fango), parola usata anche in altre accezioni come bràtta do cafè (fondi di caffè) e bràtta do vin (feccia). La fanghiglia è detta bratùmme, ma anche bernìsso che è, secondo il Casaccia, quel fango che si forma nelle contrade della città quando cade pioggia minuta. Fanghiglia può anche dirsi giórda, ma la giórda de l’êuio è la morchia, detta anche mórcia, ossia la feccia dell’olio. Una qualunque poltiglia, non solo quella fatta di bràtta, è detta potìggio, mentre pâtàn traduce in genovese il pantano, luogo pieno d’acqua ferma e di fango. Le antiche strade non lastricate si riempivano di bràtta: per questo ai lati di tanti pòrteghi (portoni) si trova uno strano ferro per rimuovere la bràtta dalle scarpe. Ma come si dice in genovese? Difficile è anche dirlo in italiano. Padre Angelo Paganini, che lo registra nel suo vocabolario del 1857 lo chiama ferro da piede, staffa, nettatoio in italiano e lo traduce in genovese col termine rascciascàrpe, ripreso poi anche da Casaccia. Altri nomi di quest’oggetto antico sono bratæa o bratêa, fretasêua o fretaseu per concludere con il bellissimo scandìn. Quànde o gàtto o pàssa l'oêgia, veu dî che cêuve Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |