Mare/male Mâ è una parola che in genovese significa sia mare sia male: forse un segno del destino per contraddistinguere un popolo di montagnìn (montanari) costretti loro malgrado a navigare. Ecco quindi il bellissimo intraducibile gioco di parole O mâ o l’é o mâ (il mare è il mare/male), cui si accompagna, sullo stesso tema, l’altro proverbio O bén o vìnçe o mâ e o mâ o rónpe i schéuggi (il bene vince il male/mare e il mare rompe gli scogli) per dire che il bene vince ogni cosa. Quindi chi sapeva o doveva navigare si sentiva più bravo di chi non lo faceva da cui il dileggio Chi é in tæra prédica, chi é in mâ nàvega (chi è a terra predica chi è in mare naviga). La spiaggia si dice mænn-a, ma sempre di più si usano le parole bàgni e spiâgia; il Casaccia registra ciàzza (da non confondere con la ciàssa, piazza). A Ciâvai (Chiavari) si sono confusi e la romantica ciàzza di pescoéi (spiaggia dei pescatori) è diventata la prosaica ciàssa di pescoéi (piazza dei pescatori). La scogliera si dice scugêa, e il riseu (ciottolo) ci ricorda quei megnifici mosaici nel sagrato delle chiese liguri. Non serve tradurre la parola ónda, ma l’onda grossa è detta mòuxo, in italiano maroso. Stracoâ significa essere gettato sulla riva del mare; per questo lo stràcoo è quello che si trova sulla spiaggia. Concludo con il palombaro che in genovese si dice magrón. Chi va a bàgno doê vòtte, a tòrto acûza o mâ Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |