Crolli Uno schianto, un crollo improvviso in genovese si dice crepón, ma anche stracòllo e squascio, squasso, crollo. Quest’ultima parola, oltre all’italianismo cròllo, è anche detta scròllo, da cui discende scrolón, scossone, e il modo di dire Dâ l’ùrtimo scròllo, che vale morire. In modo analogo crollare si traduce scrolâ e oggi anche crolâ; quindi la frase l’é scrolòu tùtte-e câze significa che sono crollate tutte le case. Con altre parole crollare può essere detto deruâ, diroccare, oppure rovinâ, rovinare. Una casa può crollare per una scòssa de teremòtto, o perché ’na miâgia a l’à molòu, un muro ha ceduto, oppure perché o terén o l’é sprofondòu, il terreno è sprofondato; se il crollo è quasi totale diremo che la casa è destrûta, distrutta, participio passato del verbo destrûe, distruggere, o che è andata in rovìnn-a o in malôa, in malora. Dopo un crollo nel terreno può formarsi una avenéuia, crepa, che se è un crepaccio è detto crenatûa o crepatûa. Dopo il crollo restano le rovìnn-e oppure può formarsi un derûo, burrone, o, se è molto alto, un preçipìçio, precipizio. In generale un luogo dirupato e scosceso è detto lìggia; in presenza sia di un derûo sia di una lìggia è bene stare lontani dalla zìnn-a, la sponda. Concludo ricordando che abisso può tradursi con abìmmo e che inabissare può essere detto abimâ: due parole antiche del nostro genovese. L'ægoa a derûa e miâge e o vìn o têgne in pê gréndi e picìn Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |