Carte da gioco Le càrte da zêugo (carte da gioco) sono divise in quattro mèrçe (semi): cóppe (cuori), dinæ (quadri o denari), fiôri (fiori), spâ (picche). Si dice amersâ e càrte quando si dividono le carte a seconda del seme. I nomi delle càrte sono come in italiano salvo il fante che è detto sbîro. Una carta di nessun valore è detta frìllo, parola che, nonostante sia usata da noi anche in italiano, è genovese e non italiana. Prima della distribuzione delle carte tra i giocatori occorre remesciâ e càrte (rimescolare le carte), quindi copâ o màsso (tagliare il mazzo) o alsâ o màsso (alzare il mazzo). A questo punto si può dâ e càrte (dare le carte) ovvero fâ e càrte (fare le carte). Ma attenzione: fâ e càrte significa anche predire il futuro attraverso le carte. Talvolta se tîa l’oêgìnn-a a-e càrte ossia si guardano le carte scoprendole a poco a poco. Spesso occorre tegnî sciù e càrte (tenere su le carte) cioè tenerle accostate al petto per non farle vedere agli avversari. Quando nel gioco succede qualche errore insanabile se va a mónte. Uno dei giochi più apprezzati a Genova è lo sgobón (scopone), mentre la sgóbba (scopa) è lasciata ai ragazzini. Divertente e di fortuna è la bâsiga (bàzzica) detta anche cirólla o aciapachìnze. È anche apprezzato il gioco del treisètte (tressette). Infine ricordo che la briscola si dice biscanbìggia e che, per correttezza, non bisogna cangiâ e càrte in töa (cambiar le carte in tavola). Chi é afortunòu in amô no zêugh-æ càrte Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |